mercoledì 15 febbraio 2012

Misurazione e valutazione sono, elementi costitutivi del processo formativo.

Non c'è dubbio che uno degli argomenti più discussi e approfonditi degli ultimi anni sia la scuola e l'esigenza di un suo rinnovamento finalizzato a migliorare la qualità del servizio scolastico, a fronteggiare la dispersione scolastica e ad ovviare alla piaga nascosta dell'analfabetismo di ritorno. Le carte programmatiche, dalla Costituzione ai programmi di scuola media e quelli di scuola elementare, le leggi di riforma, i documenti Brocca, gli Orientamenti della scuola d'infanzia, mostrano il progetto di una scuola democratica in cui tutti dovrebbero imparare di più e meglio e la messa in atto della riforma Berlinguer, con il nuovo esame di stato, l'innalzamento progressivo dell'obbligo scolastico, il riordino dei cicli e l'autonomia scolastica rappresenta l'occasione per realizzarlo.

La scuola, attraverso l'individualizzazione dei saperi necessari per vivere e lavorare nel nostro tempo, potrà diventare il mezzo attraverso cui  tutte le ragazze e i ragazzi del nostro Paese saranno in grado di leggere e interpretare la realtà, diventando cittadini consapevoli e in grado di vivere e far vivere una democrazia. Ma le leggi da sole non bastano: la forza della scuola del secondo millennio è rappresentata dalla professionalità dei docenti.

La capacità di insegnare non è una dote nativa, i docenti sono dei professionisti pronti all'aggiornamento, alla sperimentazione, aperti al dialogo con il mondo della ricerca universitaria, forti di una cultura didattica centrata sull'analisi, sulla capacità di progettare la formazione in funzione di esigenze specifiche, sul controllo dei processi. Per far fronte all'esplosione scolastica e ai crescenti bisogni formativo – professionali si è passati da una visione "programmatica" tradizionale della strutturazione dei piani di studio ad una "curricolare" che meglio si adatta alle istanze di socializzazione e scientifizzazione del processo educativo scolastico e più pienamente riassume le tendenze al decentramento, alla partecipazione e all'autonomia gestionale della scuola nonché quelle alla razionalizzazione e tecnologizzazione dei processi di insegnamento – apprendimento.

La messa a punto di un curricolo, ossia di una organizzazione strategica delle modalità per favorire al massimo l'apprendimento e quindi la trasmissione, l'acquisizione e l'elaborazione delle conoscenze, richiede che si tengano presenti le situazioni di partenza (sia scolastiche che extrascolastiche), gli obiettivi cui si tende e i contenuti su cui esercitarsi; le procedure didattiche e le attrezzature ritenute adatte per l'apprendimento di quei contenuti e la messa a punto di un sistema di verifica e valutazione.

Di particolare importanza è quest'ultimo momento: se si eseguono puntualmente tutte le operazioni connesse alla fase di programmazione si dà vita a un progetto la cui validità potrà essere accertata solo al momento della sua attuazione; la misura del successo o dell'insuccesso sarà data dal livello e dal tipo di apprendimento degli allievi, dai loro comportamenti modificati, cioè dal conseguimento degli obiettivi prefissati. L'accertamento delle effettive prestazioni dell'allievo si traduce nella loro misurazione, vale a dire nella loro descrizione quantitativa; nella fase di valutazione, poi, si interpretano le informazioni raccolte confrontandole con il progetto iniziale.

La valutazione formativa che interpreta i dati raccolti attraverso le verifiche, è finalizzata alla formulazione di un giudizio di adeguatezza della proposta didattica progettata. Dal momento che per verifica si intende la rilevazione, misurazione e descrizione obiettiva dei dati ed essendo la valutazione un'interpretazione di questi ultimi, tra le due esiste un rapporto di biunivocità. Gli insegnanti hanno fatto propria la concezione di una valutazione non più semplicemente intesa come attività selettiva ed emarginante che porta alla bocciatura o alla promozione, essa è un'azione specifica del docente rivolta verso il suo stesso impegno volto a far acquisire a tutti gli allievi quei comportamenti ritenuti desiderabili e raggiungibili in sede di programmazione.

Il momento valutativo non è unico né posto al termine dell'azione di insegnamento – apprendimento, esso è inserito nella programmazione e riguarda tutte le componenti del percorso formativo. Infatti la valutazione diagnostica si rivolge ai prerequisiti degli allievi, alla loro storia personale, ma anche alla struttura organizzativa e didattica; la fase prognostica si sofferma sulla scelta degli interventi specifici per ogni bambino, miranti a fargli raggiungere determinati obiettivi delineando percorsi valutabili tratto tratto e modificabili in ragione alle esigenze di ciascuno; la valutazione sommativa è quella che caratterizza la fase finale del processo e serve sia a valutare il b. rispetto a se stesso, agli apprendimenti conseguiti, sia rispetto al livello della classe, essa è volta quindi a prendere in esame il raggiungimento degli obiettivi precisati in sede di programmazione e misurabili in termini di acquisizione di abilità e competenze. Gran parte della valutazione scolastica dovrebbe avere carattere formativo in quanto la sua funzione è quella di creare una rete fittissima di informazioni tale da determinare l'opportuna differenziazione degli interventi didattici a seconda delle necessità di ciascuno.

Il mezzo per giungere a valutare è la verifica, strumento che deve essere oggettivo e scientifico sia che si occupi di "misurare" il sapere di tipo cognitivo, sia che affronti il campo dell'affettività o quello dello sviluppo sociale. L'introduzione del concetto di misura in campo educativo ha rappresentato una svolta culturale: essa si collega ad una cultura scientifica, mentre tradizionalmente il pensiero sull'educazione faceva riferimento alla morale.

Le caratteristiche fondamentali di una misura sono la validità, cioè la sua corrispondenza con ciò che si vuole misurare e l'attendibilità e cioè la sua idoneità a misurare un dato aspetto, pur ripetendo nel tempo la misurazione.

 Il problema di una scuola che voglia essere di tutti e per ciascuno diventa quello di trovare strumenti per la misurazione. Pur non escludendo a priori e del tutto le prove scolastiche tradizionali, sebbene non proprio rigorose, maggior spazio va dato all'osservazione sistematica e a prove oggettive di profitto: la prima , assieme all'osservazione naturalistica è insostituibile soprattutto per ciò che riguarda l'apprendimento affettivo e sociale, le seconde sono specifiche per misurare conoscenze e abilità possedute dagli allievi. Le verifiche socio–affettive, utili all'insegnante anche per capire la composizione della classe, l'eventuale presenza di un leader o di gruppi, hanno come obiettivo principale la conoscenza del livello di apprendimento del convivere in modo democratico, del raggiungimento dell'autonomia di giudizio, della formazione dell'identità personale, del possesso dello spirito critico. Strumenti che possono illuminare in questo campo sono le tassonomie di Guilford e Gagnè, strutturate per obiettivi comportamentali e il sociogramma di Moreno, per esempio. Naturalmente l'osservazione sistematica dà un valido aiuto a descrivere in modo accurato ed oggettivo il "saper essere" degli allievi, attraverso la compilazione di griglie e tabelle e la loro rielaborazione attraverso i grafici.

Le verifiche riguardanti il "sapere" e il "saper fare" possono essere prove strutturate o semistrutturate, come questionari a risposta multipla, a risposta vero-falso o a risposta aperta, ma non escluderei prove informali come cronache, resoconti temi o discussioni in classe in cui comunque l'insegnante può carpire il grado di apprendimento raggiunto. Tutto ciò va posto in essere alla luce dell'obiettività, per ovviare agli indesiderati effetti alone e Pigmalione, tanto per citarne due, fonti di umiliazione e frustrazione per gli allievi e cause di abbandono scolastico, e anche riconoscendo che queste operazioni non hanno come fine la formulazione di un giudizio morale sull'allievo, ma il tentativo di rendere flessibile, adattabile e su misura degli allievi il progetto educativo dei docenti. Ecco allora che in situazioni di insuccesso del percorso di insegnamento – apprendimento diventa necessario modificare la programmazione, introdurre delle variabili affinchè i comportamenti indesiderati si estinguano, ricorrere alle tecnologie didattiche di cui l'alunno, ogni alunno, ha bisogno, scomporre il gruppo classe lavorando per gruppi o a classi aperte, ecc.

Le ricerche sull'apprendimento sono da tempo giunte a conclusione che esso produce in qualunque soggetto una modificazione osservabile del comportamento: l'allievo che ha appreso è in grado di fare qualcosa che prima non sapeva fare, cioè si comporta in modo diverso rispetto all'istante precedente l'apprendimento: ciò non solo è osservabile , ma anche verificabile. Ciò significa spostare l'accento dalla materia da insegnare ai comportamenti da apprendere, da ciò che l'insegnante vuol fare a che si vuole che l'alunno sappia fare, dall'operatività dell'insegnante all'operatività dell'allievo. Una misura reale dell'apprendimento si può avere soltanto se gli elementi di contenuto conoscitivo si traducono in abilità del soggetto che apprende, così pure le capacità, gli atteggiamenti, i valori devono essere descritti mediante comportamenti che ne sono il corrispettivo esplicito.

L'insegnante che intende la valutazione soprattutto come un accertare e un verificare allo scopo di controllare ed eventualmente correggere lo svolgimento del processo pedagogico è più aperto e disponibile alle istanze di modificazione didattica, di facilitazione, di individualizzazione, è quindi pronto a incarnare, con la sua professionalità, la forza della scuola del nuovo millennio.

 

 

“All’interno dell’azione professionale dell’insegnante, l’osservazione occasionale e sistematica consente di valutare le esigenze del bambino e di riequilibrare via via le proposte educative in base alla qualità delle sue risposte. L’osservazione, inoltr

Perché e  come valutare nella scuola materna e/o elementare.

 

Nell'ultimo quarto di secolo il sistema scolastico italiano ha subito una svolta evolvendosi da elitario ad aperto alla generalità della popolazione e attenuando la selettività che lo caratterizzava. La scuola contemporanea, divenuta scuola di tutti perché rivolge la sua proposta formativa a un pubblico obbligato ad istruirsi per almeno otto anni, avverte l'inadeguatezza di un sistema educativo centrato sulle doti personali del docente, apprezzabili, ma non sufficienti a soddisfare le esigenze di istruzione di un'utenza disomogenea, variamente disponibile rispetto alla proposta di apprendimento, confusa da una miriade di valori, modelli di comportamento e concezioni di vita, a volte contrastanti. Ad una scuola trasmettitrice di conoscenza, si è sostituita perciò una scuola che ha i suoi punti di forza sulla capacità di analisi dei bisogni e delle risorse, sulla capacità di progettare l'apprendimento in funzione di specifiche esigenze, entro i contesti determinati e specificamente esaminati. Sappiamo infatti che i bambini presentano un'estrema varietà di caratteristiche, sia dal punto di vista intellettuale che da quello affettivo: se la proposta educativa prescinde dalla considerazione di queste è improbabile che possa soddisfare le esigenze di tutti. L'efficacia dell'attività educativa del docente è dunque fortemente correlata alla sua capacità di progettare un percorso di apprendimento valido per tutta la classe e contemporaneamente adattabile a gruppi o a singoli alunni i cui ritmi come pure le cui attitudini e capacità divergono dalla media (bambini ipodotati, ma anche iperdotati, bambini dalla intelligenza pratica, alunni divergenti, creativi…). Una scuola veramente democratica, di tutti e per tutti, deve allora fondarsi su un progetto di istituto che preveda una programmazione razionale, flessibile, adattabile e soprattutto verificabile e valutabile. Sono proprio le ultime due caratteristiche che permettono alla programmazione di divenire uno strumento duttile, facilmente modificabile e quindi idoneo a raggiungere a tutti i bambini i fini dell'educazione. Gli insegnanti della scuola del duemila debbono essere dunque capaci di condurre osservazioni occasionali o sistematiche sulla classe al fine di porre in atto una valutazione di tipo formativo, indispensabile per realizzare una scuola un grado di attuare il principio di democrazia identificabile con la possibilità di mettere tutti in condizione di apprendere. La valutazione nella scuola degli anni '90 non ha per oggetto il bambino o il ragazzo, ma la programmazione, non è il bambino ad essere sottoposto a giudizio, ma il lavoro che si progetta per lui. Con la legge 517/'77 insieme al fine e all'oggetto, cambia anche il mezzo della valutazione: la scheda al posto della pagella numerica. La valutazione formativa è l'interpretazione dei dati raccolti attraverso le verifiche, in vista della formulazione di un giudizio di adeguatezza della proposta didattica adottata. Inevitabilmente la valutazione è strettamente legata alla verifica, intesa come misurazione, rilevazione descrizione obiettiva dei dati: tra le due si instaura una sorta di circolarità. La valutazione non è l'attività selettiva ed emarginante che porta alla bocciatura o alla promozione, essa è l'unico modo per offrire reali opportunità di apprendimento; è un'azione specifica dell'insegnante rivolta al suo impegno per far acquisire a tutti gli allievi determinati comportamenti ritenuti in sede di programmazione desiderabili e raggiungibili. Il momento valutativo è quindi inserito all'interno della programmazione e non riguarda mai esclusivamente gli allievi, ma tutte le componenti del percorso formativo. La valutazione è articolata in varie fasi. Quella definita diagnostica si rivolge ai prerequisiti degli allievi, alla loro storia personale e anche alla struttura organizzativa e didattica; la fase prognostica si sofferma sulla scelta degli interventi specifici per ogni bambino, mirati a fargli raggiungere determinati obiettivi delineando percorsi valutabili tratto tratto e modificabili in ragione alle esigenze di ciascuno; la valutazione sommativa è quella che caratterizza la fase finale del processo e serve per valutare il bambino rispetto a se stesso e rispetto al livello della sezione o della classe, perciò mira a prendere in esame il raggiungimento degli obiettivi precisati in sede di programmazione, misurabili in termini di acquisizione di abilità e competenze. Per quanto concerne il mezzo della valutazione, la verifica, si aggiunge che tale strumento deve essere oggettivo e scientifico sia che si occupi di "misurare" il sapere di tipo cognitivo, sia che affronti il campo dell'affettività o quello dello sviluppo sociale. Le misure devono avere caratteristiche di validità e attendibilità, devono cioè essere adatte a valutare un dato aspetto e, se si ripete nel tempo quella certa misurazione, essa deve nuovamente rivelarsi idonea per quell'aspetto. Per l'apprendimento cognitivo si può disporre di prove oggettive di profitto che vanno dall'interrogazione orale o scritta, a temi, cronache, o, nel caso in cui non si utilizzi lo scritto, a prove di tipo esecutivo a comando verbale, a puzzle, a disegni e schede da completare. Per le verifiche socio-affettive gli strumenti validati sono ad esempio le tassonomie di Guilford e Gagnè o il sociogramma di Moreno. I dati raccolti si organizzano in tabelle, grafici , istogrammi al fine di poter effettuare delle stime. Un fondamentale strumento a disposizione dell'insegnante è comunque l'osservazione sistematica, ovvero quel tipo di osservazione intenzionalmente condotta per rilevare e analizzare un certo comportamento, al fine di poter intervenire con variabili in grado di modificare competenze o comportamenti. L'osservazione sistematica si distingue da quella spontanea perché il suo è un approccio scientifico, l'unico che permetta di non essere troppo condizionati dalle variabili soggettive che appartengono all'osservatore e al  suo grado di coinvolgimento nella situazione. Osservare significa condurre esperienze facendo ricorso  ad un "metodo". L'osservatore definisce e precisa l'oggetto da osservare, stabilisce procedure e sceglie strumenti con cui rilevare e registrare i comportamenti osservati, determina i tempi e il contesto dell'osservazione, oltre che la frequenza delle rilevazioni. E' bene sottolineare nuovamente che l'osservazione non ha finalità puramente descrittive; essa è connessa alla progettazione didattica e in primo luogo alla problematica della valutazione, in quanto con  essa si possono evidenziare quegli aspetti motivazionali che sono alla base dei processi di conoscenza. L'osservazione, sistematica o naturalistica, è sicuramente un indispensabile strumento per l'insegnante che organizza il percorso formativo in modo intenzionale e razionale affrontando l'attività programmatoria con accuratezza, attraverso un'analisi minuziosa della situazione in cui opera, la precisazione di traguardi formativi ben definiti, la messa a punto di strategie, la verifica dei risultati. D'altra parte la valutazione assume il compito di rendere significative le attività mediante le quali si individuano gli obiettivi e si programmano gli interventi, ma per programmare e valutare è necessaria un'attività di tipo conoscitivo: l'osservazione. Il rapporto tra osservazione e valutazione è sempre un rapporto di complementarietà: da un lato la prima è uno strumento indispensabile alla definizione degli obiettivi, alla scelta dei criteri di verifica e alla valutazione degli esiti di insegnamento – apprendimento, a sua volta la valutazione è un momento inevitabile della stessa osservazione perché è sempre necessario interpretare e attribuire un significato a ciò che si osserva. Indubbiamente l'accesso generalizzato all'istruzione ha avuto come conseguenza principale quella di modificare la composizione delle caratteristiche personali e sociali degli allievi e ciò ha comportato la necessità di ampliare il momento conoscitivo: si tratta non solo di conoscere le reali condizioni in cui i bambini si trovano nel momento in cui accedono al percorso formativo, ma anche e soprattutto di ridefinire continuamente i traguardi e i percorsi didattici necessari per meglio corrispondere alle richieste di ciascuno di essi. Occorre delineare di volta in volta gli intenti programmatici nella scuola in relazione alle caratteristiche e alle condizioni che le singole situazioni presentano e ciò comporta l'estensione dell'attività conoscitiva a tutte le fasi del processo formativo, per individuare e definire obiettivi, per ricercare le migliori strategie di intervento, per organizzare tempi, luoghi e risorse e per predisporre criteri e modalità di verifica. Tutto ciò va fatto all'inizio, durante e dopo l'intero processo ed anche tappa per tappa perché le situazioni non sono mai completamente prevedibili e l'insegnante non può presumere di aver concluso il suo lavoro con la stesura di una pur ottima programmazione.

“LA SCUOLA DELL’INFANZIA CONCORRE NELL’AMBITO DEL SISTEMA SCOLASTICO A PROMUOVERE LA FORMAZIONE INTEGRALE DELLA PERSONALITA’ DEI BAMBINI DAI 3 AI 6 ANNI, NELLA PROSPETTIVA DELLA FORMAZIONE DI SOGGETTI LIBERI, RESPONSABILI ED ATTIVAMENTE PARTECIPI ALLA VI

La caratteristica più rilevante della scuola materna nascente dagli orientamenti del '91 è il riconoscimento a pieno titolo della sua dignità di scuola, di ambiente intenzionalmente realizzati a fini educativi e istruttivi, aperto a tutti i bambini senza discriminazione di razza, sesso, religione né di dotazione intellettuale o fisica o psichica, che privilegia la vita in comune, lo scambio interculturale, l'esercizio della libertà responsabile e che persegue il soddisfacimento del diritto di ciascun bambino all'apprendimento nel rispetto della propria individualità.

L'affrancamento da una concezione assistenzialistica e spontaneistica della scuola materna si realizza soprattutto dotandola di un impianto curricolare, cioè di un "intenzionale e rigoroso itinerario formativo" che poggia su tre fattori fortemente correlati: le finalità della scuola, le dimensioni di sviluppo e sistemi simbolico culturali, dalla cui combinazione scaturisce il curricolo che si articola nei campi di esperienza.

Per quanto riguarda le finalità, esse si fondono su una "visione del bambino come soggetto attivo" e riguardano l'identità, l'autonomia e le competenze che egli deve sviluppare e che scaturiscono da una lettura approfondita della società odierna definita, non solo dagli Orientamenti, complessa.

In una società complessa e pluralista infatti è difficile per l'individuo costruirsi un'identità forte e certa, è complicato orientarsi tra una confusione di comportamenti e valori diversi, spesso fra loro contrastanti. La costruzione dell'io è un processo articolato che parte dai primi giorni di vita e necessita di sinergia educativa per giungere a piena maturazione: a scuola la vita in comune consente il confronto continuo che stimola lo sviluppo dell'identità anche e soprattutto perché il bambino, grazie all'interazione con i coetanei, si riconosce e si definisce come persona, entra in contatto con gli alfabeti della cultura che egli fa propri costruendo pian piano quell'identità culturale che è alla base di quella personale.

Legata all'identità è l'autonomia che secondo Vayer non può essere insegnata o imposta essendo questa una peculiarità dell'essere umano, autonomo per natura. La scuola restituisce l'autonomia al fanciullo dandogli fiducia e credendo nelle sue possibilità, anche attraverso l'applicazione della strategia del successo di origine pestalozziana e riproposta in termini più squisitamente psicologici  dal Bloom e più in generale impostando una positiva relazione educativa.

Per quanto concerne le competenze, "il saper fare", esse sono la base dell'educazione della scuola che si caratterizza così dagli altri contesti nei quali al "fare" non segue la riflessione e la riorganizzazione cognitiva dell'esperienza (dalle matrici cognitive alle mappe concettuale).

Le competenze promosse dalla scuola dell'infanzia riguardano la sfera culturale, sociale, affettivo – emotiva e morale; esse vengono sviluppate attraverso la mediazione culturale, sottolineata negli Orientamenti e identificata come una sorta di prolungamento del corpo che consente l'adattamento consapevole all'ambiente.

La cultura fa sì che si sviluppino competenze sia come nuova cultura sia come background culturale, sia come strumento per essere liberi, per sapersi comportare, per distinguere ciò che è giusto e ciò che non lo è, al fine di poter star bene con gli altri.

La cultura modifica positivamente i comportamenti, educa alla consapevolezza delle proprie azioni, liberando l'individuo dai condizionamenti sempre più forti indotti dalla società massmediale e dall'invasione della tecnologia.

Attraverso le competenze affettivo – emotive il bambino apprende il progressivo controllo della propria emotività, dei sentimenti negativi e, per mezzo di quelle morali, fa proprie quelle regole che, dopo aver condiviso, sa di dover rispettare, le direttive nazionali degli Orientamenti trovano modo di esplicarsi attraverso i campi di esperienza, non senza adattamenti "locali".

Attraverso la programmazione, afferma Frabboni, le indicazioni del testo programmatico si concretizzano in riferimento alle specifiche esigenze di educazione e di apprendimento dei bambini e alle domande delle diverse comunità. La diffusione del concetto di curricolo è stata parallela a quello di programmazione, cioè di quella fase progettuale, fatta "a freddo" a settembre, quando ancora non si hanno i bambino davanti. La programmazione consente di identificare i percorsi di lavoro, i possibili collegamenti fra i diversi campi di esperienza e le metodologie da utilizzare: essa è scritta ma in realtà si continua a scrivere durante tutto il corso dell'anno perché di volta in volta l'insegnante farà delle scelte, degli adeguamenti, delle modifiche in base anche alle esigenze impreviste della sezione o dell'ambiente. In sostanza, come sostiene anche la Pontecorvo, "la programmazione è finita quando si sono concluse le attività didattiche". Nell'ambito programmatorio rientrano le fasi di controllo: le verifiche rendono esplicita l'efficacia delle proposte didattiche e delle scelte che ha operato l'insegnante per modificare in modo intenzionale la situazione degli alunni. L'insegnante professionista attua in momenti distinti le verifiche finalizzate a rilevare le preconoscenze dell'allievo e a controllare l'andamento della proposta didattica raccogliendo dati in vista di una valutazione in itinere in base al cui esito si decide di continuare il percorso inizialmente delineato o di ristrutturarlo, fino ad arrivare ad una valutazione conclusiva.

Una capacità irrinunciabile dell'insegnante deve essere quella di saper osservare, saper "vedere" i bambini per capire come si comportano, che cosa stanno facendo o che cosa hanno intenzione di fare. L'osservazione sistematica ha certo un rigore più scientifico, ma anche quella di tipo naturalistico va presa in considerazione, in quanto comunque non è priva di criteri. Attraverso il curricolo implicito, cioè l'organizzazione degli spazi, dei tempi, degli angoli, dei laboratori e delle attività ricorrenti della vita quotidiana, sia esso strutturato per obiettivi o per sfondo integratore, si espletano le finalità della scuola materna. Il curricolo implicito perciò deve, comunque esso sia organizzato, partire dal bambino, da ciascuno dei bambini della sezione che giunge a scuola con una propria storia affettiva ed emotiva e con diverse motivazioni, con un proprio bagaglio culturale ed anche con un tipo di cultura extraeuropea, con il peso di un deficit o di una situazione di svantaggio socioculturale, ma che deve essere portato a conseguire le medesime finalità previste per qualsiasi altro bambino. L'insegnante regista, ma anche e soprattutto professionista, deve essere in grado di lavorare in modo flessibile, essere aperto alla possibilità di modificare quanto ha progettato in funzione della realtà nella quale opera e deve realizzare la sua programmazione attraverso un'impostazione ludica nell'ambito di un clima sereno e costruttivo. Non basta saper organizzare attività, spazi e tempi, occorre anche e soprattutto basare la relazione educativa sulla fiducia e il rispetto del bambino che non arriva a scuola incapace di fare e pensare pur essendo un bambino con dei bisogni e soprattutto soggetto di diritti. L'insegnante deve tenere conto della necessità di dare a tutti pari opportunità educative avendo come monito l'affermazione "dare di più a chi ha di meno" o meglio " dare in modo diversificato a chi, nella situazione di partenza, non è uguale " in modo da realizzare l'uguaglianza dei punti di arrivo del percorso educativo, e cioè affinché tutti giungano alla formazione dell'identità, dell'autonomia e delle competenze.

Quella degli Orientamenti '91 è senza dubbio una scuola vera , un contesto finalizzato allo sviluppo e all'apprendimento, per questo capace di dare ai bambini risposte efficaci ai loro bisogni di sicurezza, e di autostima, come pure in grado di valorizzare o stimolare la loro curiosità, la loro voglia di scoprire e di imparare, e' una scuola attenta alle richieste della società, per questo aperta all'interculturalità, ma anche in stretta connessione con tutte le esigenze educative del territorio e "in primis" con la famiglia. " Identità, autonomia intellettuale, indipendenza affettiva, formazione di intelligenza creativa, rappresentano i traguardi formativi che qualificano" il progetto dell'infanzia sostenuto dagli Orientamenti del '91, afferma Frabboni, e puntare su questo significa dare la possibilità al bambino di diventare un adulto consapevole e protagonista della propria vita, artefice di quella società di cui sarà parte.

“Se non vogliamo rimanere prigionieri solo di affermazioni di principio, dobbiamo saper dimostrare concretamente che l’educazione interculturale può e deve tradursi in forme organizzative e strategie didattiche di quotidiano lavoro e di costante impegno”

 

 

Una caratteristica dell'età contemporanea è il continuo flusso di migrazioni che dal Sud del mondo avanza verso il Nord e dall'Est verso l'Ovest a cui sono sottesi gravi problemi di sussistenza e di sopravvivenza, causati da povertà endemica o da scontri etnici che spingono esseri umani ad abbandonare le terre d'origine, dove ogni speranza di vita è vanificata, per affrontare viaggi della speranza alla ricerca di un posto per vivere e per crescere i  figli.

I Paesi ospiti sono messi a dura prova nella capacità di assorbimento degli immigrati sia dal punto di vista dell'accoglienza e della sistemazione, sia da quello dell'offerta di lavoro, tanto che affiorano sempre più in superficie episodi di xenofobia e razzismo oltre che di emarginazione e di ghettizzazione, che mettono in crisi ogni possibilità di pacifica convivenza.

La scuola è stata una delle prime istituzioni a farsi carico dell'arrivo degli immigrati e ad affrontare il problema, ponendosi come obiettivi  facilitare e favorire i processi di inserimento e di integrazione da un lato, educare ad una concezione interculturale dall'altro, superando posizioni etnocentriche ed eurocentriche, in vista di un'apertura alla diversità, intesa sempre più come risorsa e arricchimento.

Il concepire la diversità come valore irrinunciabile in una società multiculturale , quale è quella contemporanea, è un aspetto tipico dei testi programmatici della scuola di base, la quale si propone di educare " ad un atteggiamento mentale che superi ogni visione unilaterale dei problemi ed avvicini all'intuizione di valori comuni" a tutti gli uomini, contrastando il formarsi di "stereotipi e pregiudizi nei confronti di persone e culture", affinchè a tutti sia riconosciuto il "diritto inalienabile alla vita" nel "pieno rispetto della identità culturale, etnica e linguistica".

La formazione dell'identità personale è una delle finalità più care all'istituzione scolastica, ma esso è prima di tutto un concetto relazionale: il riconoscersi come individui nasce dal riconoscere l'altro come persona che ha propri "modi di essere". L'extrascuola molto spesso tende ad avere invece atteggiamenti di repulsione verso chi è diverso e a considerare la cultura dell'immigrato priva di dignità o comunque inferiore, desumendo tale convinzione dalle condizioni di svantaggio economico e linguistico degli extracomunitari o dal nefasto pensiero che la superiorità economica sia segno della superiorità della razza. La scuola, ove le culture si incontrano e si arricchiscono vicendevolmente, può essere positivo monito per l'extrascuola, ecco perché si deve puntare il più possibile alla formazione di un individuo che, al di là della cultura di appartenenza, sia capace di vivere in una società multietnica, multirazziale e multiculturale.

La nostra scuola va moltiplicando esperienza e proposte tese a sostenere l'inserimento degli alunni immigrati con progetti che riguardano iniziative di accoglienza e di conoscenza reciproca. Il momento dell'accoglienza è quello più importante: il bambino immigrato si trova immesso in un ambiente completamente estraneo, con cui spesso non è in grado di comunicare non conoscendo la lingua, ha bisogno di essere rassicurato, di sentirsi accettato, parte del gruppo. L'insegnante curerà particolarmente questi momenti, creando un clima sociale positivo, utilizzando forme di comunicazione non verbale, progettando un'azione didattica che sia flessibile, ma non improntata alla creazione di iniziative speciali né parallele.

La didattica dell'integrazione, deve mettere in luce le corrispondenze oltre che le differenze, cercando ciò che è comune accanto a ciò che è specifico: i campi di esperienza che si riferiscono alla globalità delle esperienze di vita di qualsiasi individuo, sono il terreno migliore su cui seminare. Ogni individuo al di là della latitudine o della longitudine del luogo di nascita struttura sistemi codificati di comunicazione, costituisce modi di rappresentazione dello spazio, instaura rapporti con l'ambiente, inventa sistemi non verbali di comunicazione, usa il proprio corpo per comunicare ed entrare in contatto con gli altri e impara a riconoscere le regole dei gruppi sociali. I "campi di esperienza" non essendo vincolati a contenuti standard, possono trovare infinito materiale tra le abitudini le tradizioni, le lingue, gli usi e i costumi di chi ha una cultura altra rispetto a quella del Paese ospite. Spetta all'insegnante regista allestire gli spazi in modo proficuo e all'insegnante animatore incoraggiare, suscitare occasioni continue di comunicazione, di reciprocità. Il campo di esperienza "i discorsi e le parole" hanno carattere trasversale, la lingua è strumento di pensiero e mezzo di comunicazione: la scuola deve essere un laboratorio linguistico permanente. Gli Orientamenti sottolineano la produttività della conversazione per piccoli gruppi, durante i quali attraverso giochi, narrazioni di fiabe o lettura di filastrocche, racconti di eventi condivisi o di esperienze personali si favorisce il parlare e lo stare insieme, il condividere. Il confronto linguistico promuove inoltre l'elaborazione di strategie di comunicazione, linguistica e non e la capacità di risolvere problemi di rapporti tra codici diversi, a vantaggio non solo dello straniero ma anche del bambini autoctono. Senza toccare tutti gli altri campi, si sottolinea comunque l'importanza di considerare il b. straniero non come un peso da affibbiare all'insegnante di sostegno linguistico e da relegare fuori dalla sezione: l'ambiente della scuola d'infanzia caratterizzato dal gioco come strumento di sviluppo cognitivo, sociale, affettivo e morale, è sicuramente più adattabile alle esigenze di ogni bambino diverso, nel caso specifico del bambino immigrato.

La scuola elementare è più rigida sul versante dei contenuti, sebbene il documento sui saperi essenziali ribadisce a chiare lettere la necessità di una scuola che impari ad imparare, più che di una scuola attenta ai soli saperi. La preparazione culturale deve essere funzionale all'inserimento attivo e partecipe nella società e, sempre più, è sentita l'esigenza di una cultura che sia anche competenza professionale. Se questo discorso è più specifico per gli  istituti superiori, non mi sembra fuori luogo  concepire il sapere nella sua accezione di spendibilità sin dalla scuola di base. Quando pensiamo al bambino straniero, il più delle volte già emarginato nella vita extrascolastica di tutti i giorni, relegato in quartieri che sempre di più diventano ghetti, svantaggiato dal punto di vista socio-economico non cerchiamo di acculturarlo, infarcendolo della nostra cultura, ma diamo a lui quegli strumenti che gli serviranno per inserirsi in un paese straniero: una conoscenza funzionale della lingua italiana, veicolo per appropriarsi di tutte quelle conoscenze che lo renderanno uomo e cittadino libero. Se l'ambito antropologico deve essere un discorso intorno all'uomo , alla storia della sue evoluzione sociale, del suo rapporto con il territorio, delle sue istituzioni, non è forse più giusto proporre all'immigrato dei contenuti, mezzi di conoscenza, più vicini alla sua cultura che non a quella eurocentrica? E gli esempi potrebbero continuare per mostrare la possibilità da parte del team docente di innestare un percorso individualizzato all'interno di quello più generale e di prendere spunti dalla cultura del bambino straniero per arricchire le conoscenze di tutto il resto della classe. Vorrei sottolineare quanto la creazione di un clima positivo all'interno della classe sia importante, non dimentichiamo mai che i bambini, tutti, si vedono come gli altri li vedono e che l'insegnante è per i bambini un adulto significativi che essi tendono a imitare: se è l'insegnante che per primo  la prontezza e l'apertura ad accogliere e comprendere culture diverse, anche i bambini sapranno farlo, tanto che la presenza di chi è diverso diventerà preziosa e irrinunciabile, nella consapevolezza che  a questo mondo siamo tutti uguali nell'essere diversi.

La scuola offre ai bambini con disabilità adeguate opportunità educative, realizzandone l’effettiva integrazione secondo un articolato progetto educativo e didattico che costituisce parte integrante della programmazione.

 Attenzione!! Tema da aggiornare con le recenti normative sull’inclusione, indicazioni nazionali, competenze 

 

"Accogliere il deficit e ridurre l'handicap" a scuola , affermava A. Canevaro, ma che differenza passa tra deficit e handicap?. E che cosa significa tale affermazione?

Quando si parla di handicap si parla di un individuo che presenta difficoltà permanenti, di competenza specialistica, riconducibili a un deficit di varia natura: fisico, psichico, mentale, sensoriale. Il deficit ha quindi una valenza oggettiva, essendo la menomazione chiaramente riscontrabile, l'handicap, invece, è determinato da come l'individuo portatore di deficit, vive la sua situazione, in rapporto alla società, alla scuola, alla famiglia.

Mentre il deficit difficilmente è recuperabile, poiché non è una malattia da cui poter guarire, l'handicap può essere aumentato, ridotto o anche annullato, per questo la scuola del terzo millennio, superato l'inserimento selvaggio degli a. '70, ha deciso di porre in atto concrete forme di integrazione.

La nostra società ha compiuto notevoli progressi nel modo di concepire e di rapportarsi al disabile, ma sebbene i tempi del Monte Taigeto e della Rupe Tarpeia siano molto lontani, le conquiste fondamentali sono estremamente recenti.

Bisogna attendere la seconda metà degli a. '70 (L.517/77) per assistere all'abolizione delle scuole speciali e delle classi differenziali, optando per l'inserimento degli handicappati nelle classi comuni delle scuole elementari e medie e il 1982 (L.270/82) per estendere tale principio alla scuola materna, ma se il motti "tutti uguali, tutti insieme" aveva contribuito ad avanzare verso una scuola democratica, a quest'ultima non erano stati forniti gli strumenti per esplicarsi come tale, tanto che il risultato fu quello dell'emarginazione intramurale del portatore di handicap.

La vera svolta, a proposito della questione dell'handicap, si è avuta con la L. 104/92 che ha superato il concetto di inserimento a favore di quello di integrazione affinchè anche per l'handicappato siano fatti salvi i diritti all'educazione e all'istruzione e che ha chiamato a collaborare con le istituzioni scolastiche gli Enti Locali e le A.S.L., oltreché le famiglie.

Il 24 febbraio 1994 e stato emanato con D.P.R. l'Atto di indirizzo e coordinamento in riferimento ai compiti delle A.S.L. in materia di alunni H.

In questo provvedimento vengono definiti i compiti delle A.S.L. relativamente agli strumenti di identificazione e conoscenza dell'alunno h, affinchè sia possibile garantirgli i diritti alla salute, all'assistenza, all'educazione e all'istruzione: si tratta della certificazione medica, della diagnosi funzionale, del profilo dinamico funzionale (P.D.F.) e del piano educativo individualizzato (P.E.I.).

Su segnalazione dei servizi di base, la persona h viene presentata ad un'équipe della A.S.L. che provvede, attraverso la diagnosi medica,  ad accertare le cause e le conseguenze del deficit  ed ad individuare, attraverso la diagnosi funzionale, le aree di potenziale sviluppo e le carenze del soggetto affinchè possa essere elaborato un progetto educativo di apprendimento individualizzato da parte degli operatori sanitari della A.S.L. , del personale insegnante curricolare e di sostegno della scuola, in collaborazione con i genitori.

Con la L. 104/92, inoltre, sia a livello provinciale (G.L.I.P.), sia a livello di Circolo o di Istituto si istituiscono i Gruppi di studio e di lavoro con il compito di promuovere progetti a livello provinciale e gestiti dai vari servizi, come pure di predisporre iniziative educative e didattiche nell'ambito delle scuole di Circolo , utilizzando le risorse territoriali in collaborazione con i Comuni.

Per quanto riguarda il compito degli insegnanti di integrare l'handicappato in classe o in sezione, volendo superare la concezione del mero inserimento fisico è necessario realizzare il massimo raccordo tra piano di lavoro di classe e di istituto e la programmazione individualizzata per l'allievo portatore di deficit. Bisogna evitare il rischio di tradurre il P.E.I. in splendido strumento di emarginazione riducendolo a una sequenza di apprendimenti da conseguire senza relazioni con la programmazione didattica annuale elaborata per i compagni. Gli insegnanti, tutti, non solo quello specializzato, sono chiamati a organizzare in modo flessibile l'azione formativa, adeguandola alle esigenze di ciascuno attraverso un percorso didattico duplice: partendo da un'analisi degli obiettivi didattici della programmazione di classe/sezione vanno selezionati quelli adatti alle potenzialità dell'alunno h da riprendere nel P.E.I. ; d'altra parte, prendendo le mosse dagli obiettivi enucleati nel piano individualizzato, si deve prevedere quali di questi ultimi possano essere ripresi nella programmazione di tutta la classe/sezione.

In questo modo la scuola realmente opera nella prospettiva interazionista, riconoscendo il bambino h nella classe, inserito come interlocutore partecipe, attivo, che lavora con gli altri b. e si sente parte di un gruppo, bambino tra i bambini.

A supporto di tale concezione sia gli obiettivi educativi didattici generali del profilo sia quelli didattici specifici del P.E.I. operano nell'ottica di una maturazione il più possibile armonica e concreta, considerando l'h nella totalità della sua persona e nei differenti momenti di vita.

La legge quadro sull'h, inoltre, ribadisce il diritto all'educazione e all'istruzione della persona con deficit, e precisa che tale diritto si traduce nello sviluppo di potenzialità  a livello di apprendimento, di comunicazione, di relazione e di socializzazione.

Per questo motivo i docenti, curricolari e di sostegno, oltre a raccordare in modo opportuno gli obiettivi di apprendimento di classe a quelli del bambino h e viceversa, nell'organizzazione e nella conduzione di percorsi didattici integrati, devono sempre tenere presente che la socializzazione è connessa all'apprendimento e che, d'altra parte, non si può entrare in relazione con i compagni se mancano argomenti di dialogo: proporre al portatore di deficit un contenuto del sapere identico a quello della classe /sezione, se pur semplificato, favorisce da un lato l'ampliamento delle conoscenze e dall'altro introduce un tema di conversazione comune a quello dei coetanei, sicuramente utile a favorire l'integrazione sociale.

La Premessa ai Programmi della scuola elementare rammenta che l'obiettivo dell'integrazione e la culturalizzazione oltre che la socializzazione, perché la socializzazione futura è strettamente collegata alla cuturalizzazione , tanto che ogni forma di apprendimento che il bambino acquisterà nella scuola gli sarà di immensa utilità per la sua vita sociale, fuori dalla scuola, perché un altro grande obiettivo che la scuola deve raggiungere nel caso dell'h è l'acquisizione di autonomia, che libera il bambino dalla dipendenza dagli altri e dall'emarginazione sociale, la conquista del "far da sé" che può iniziare da funzioni assai semplici e progredire a livelli più ampi, per quanto è possibile.

Un insegnamento informato alla flessibilità non vuol dire caricare la didattica di una parola oggi magica, né può significare soltanto favorire (indirettamente) la flessibilità cognitiva dell’allievo, ma vuol dire l’attestazione di un docente che è estre

Una lettura che si proponga di mettere a confronto i programmi Ermini e quelli dell'85 noterà immediatamente la diversa idea di bambino presente in essi. Il bambino della nostra società è tenuto a svolgere molte più attività conoscitive che nel passato ed ha di fronte un team docente. La società in cui viviamo ha subito radicali cambiamenti in tempi brevi: le conoscenze si sono moltiplicate ciò che nel passato era essenziale conoscere, il saper leggere e scrivere, oggi è assolutamente insufficiente. Il cambiamento riguarda il modo stesso di conoscere, tipico di società caratterizzate da un forte sviluppo tecnologica, scientifico e informatica che, talvolta è stato latore di contraddizioni sociali, di crisi di certezze e di valori tanto che la certezza sembra cedere il passo al dubbio. Si è affermato quello che i filosofi definiscono pensiero debole e quello che la società sta proponendosi di fare e rendere quest'ultimo un punto di forza, fare del dubbio l'unica certezza.

Partendo dal presupposto che le certezze del passato sono tramontate a questa società complessa, instabile e turbolenta si vuol rispondere con un nuovo modo di pensare. Il pensiero lineare e sequenziale è diventato inadeguato e alla cultura alfabetica veicolata dal libro , si è sostituito il pensiero sistemico e globale e la cultura modulare. Scendendo nel concreto si può esemplificare affermando che insegnare l'area di un rettangolo proponendo una formula è tipico del pensiero lineare, stimolare il bambino affinchè proponga il modo per trovare le misure di un vetro rotto utilizzando una cordicella è invece caratteristico del pensiero modulare. Per certe operazioni il pensiero sequenziale è obsoleto: non dà più gli strumenti per leggere e interpretare il mondo contemporaneo, tuttavia la scuola cerca di attuare una mediazione tra ciò che è necessario assegnare come obiettivo sequenziale, comunque non messo fuori gioco in assoluto, e i mezzi necessari per attivare nel bambino il pensiero modulare.

L'attributo imprescindibile della scuola del duemila è la flessibilità: essa deve plasmarsi da un lato alle esigenze di formazione necessarie per inserirsi nella società, dall'altro deve essere in grado di salvaguardare l'integrità psico-fisica del bambino, in vista della  sua formazione come uomo e come cittadino: di un individuo attivo e partecipe del mondo che lo circonda, responsabile e consapevole del suo ruolo, pronto a collaborare, ma autonomo nel giudizio, riflessivo e critico, aperto al reciproco scambio con la diversità, solidale e pronto alla cooperazione.

Né il maestro unico né i Programmi Ermini potevano porsi simili obiettivi, di qui l'esigenza di revisione e poi di rinnovamento proposta nella relazione Fassino, in seguito alle quali sono stati promulgati i Programmi del 1985 e non solo. L'esigenza di cambiamento è testimoniata dalla legge di riforma 148/90, dalla circolare sui saperi essenziali, dalla riforma Berlinguer e dalla legge sull'autonomia che caratterizzerà in modo inconsueto la scuola migliorandone la qualità. La scuola diviene ambiente educativo di apprendimento e si pone obiettivi quali l'organizzazione salda delle conoscenze e delle sollecitazioni che provengono da un ambiente fortemente mutevole; instillare la capacità permanente di apprendere, favorire le conoscenze di linguaggi e codici tipici della cultura contemporanea, costruire le regole di convivenza: al centro dei Programmi '85 c'è la formazione dell'uomo e del cittadino, attuabile attraverso la scuola delle "3 C", come la definisce la legge 148/90. Fatta salva l'unitarietà dell'insegnamento mediante la collaborazione e la programmazione, gli insegnanti del modulo, contitolari e corresponsabili delle classi loro affidate, hanno il dovere di lavorare collegialmente e in team. Le due ore di programmazione didattica, fermo restando l'orientamento deciso dalla programmazione di circolo e dei programmi nazionali, servono proprio a coniugare in modo sinergico gli interventi dei del modulo. All'interno della programmazione curricolare compaiono anche le fasi di controllo e valutazione del percorso didattico, rivolte più a indagare il successo del compito di insegnamento, non esauribile nella trasmissione delle conoscenze, nel riempimento di vasi vuoti, ma fondato sulla capacità di facilitare l'apprendimento, scegliendo di volta in volta il mezzo e la strategia più opportuni fra i tanti a disposizione.

Il team docente deve operare intervenendo in modo flessibile, deve essere duttile e modellarsi alle contingenze e alle necessità del modulo, per realizzare in modo concreto quanto sulla carta e a livello ideale è stato progettato, tenendo conto delle diverse esigenze di ciascun alunno, delle risorse materiali e umane che ha a disposizione, della presenza in classe di alunni con deficit o in situazioni di svantaggio, ecc. L'uguaglianza delle opportunità educative e il diritto allo studio motivano gli interventi individualizzati, rivolti non esclusivamente al singolo allievi, ma proponibili anche ad un piccolo gruppo, per i quali il team docente può utilizzare le ore di compresenza, può adattare l'orario con lezioni intensive, sempre nel rispetto del monte orario di ciascuna materia stabilito a livello nazionale; gli insegnanti, grazie all'autonomia dell'organizzazione didattica, possono superare la rigidità del gruppo classe: è possibile non solo lavorare a classi aperte o per gruppi di interesse o di livello ma anche scegliere di unificare più classi per attività in cui ad esempio la lezione frontale risulta più economica. La flessibilità dell'orario, che tiene dovutamente conto dei tempi deboli e di quelli forti per l'organizzazione delle attività, riguarda la suddivisione della giornata scolastica, il calendario scolastico e anche l'orario degli insegnanti. Opportunità rilevanti sono l'introduzione dei laboratori (per esempio quelli multimediali, nati con il progetto 1A e 1B), delle attività integrative (come l'insegnamento di uno strumento musicale o l'arte di lavorare la ceramica) e delle attività di orientamento( progetto "orme", progetto "genitori", educazione alla salute ecc..), condotte anche attraverso l'ausilio di figure di sistema. La scuola sta rigenerandosi, rinnovandosi in vista di una positiva ripercussione a livello sociale. Attualmente, secondo indagini a livello europeo sulla dispersione scolastica, l'Italia è al penultimo posto in fatto di abbandono scolastico. I giovani molte volte vengono cacciati dalle bocciature, e da un sistema scolastico che non è ancora "sur mesure" e che perciò più che motivare allo studio  sviluppa un atteggiamento negativo verso la scuola. I giovani lontani dai banchi di scuola spesso non hanno maturato acquisito le capacità per districarsi nella società che li circonda, non hanno maturato l'autonomia di giudizio, non hanno interiorizzato valori e certezze, così facilmente scivolano nei paradisi artificiali, sfuggendo una realtà con cui non hanno gli strumenti per fare i conti. La scuola può e deve ovviare a tutto questo, se vogliamo che il nostro paese sia caratterizzato da reale progresso sociale e la normativa degli ultimi anni, tendente ad alleggerire dal nozionismo il sapere, puntando sull'imparare ad imparare, decentrandosi per essere più rispondente alle esigenze del territorio in cui vive ha preparato la giusta strada da percorrere.

Nei nuovi Orientamenti la riflessione sui bambini in difficoltà, oltre alla chiara enunciazione nel paragrafo ”Diversità e integrazione”, percorre tutto il testo: nella parte generale in relazione ai complessi fenomeni della nostra società e ai riflessi

Mc. Luhan  definisce complessa l'attuale società perchè sottoposta a innumerevoli fattori che interagiscono modificandola velocemente e radicalmente, tanto che l'individuo finisce per perdersi in essa, per smarrirsi, quasi incapace di ravvisarvi valori e credi incrollabili. Molti dei cambiamenti economici, tecnologici e geopolitici hanno portato alla convivenza di una pluralità di valori, lingue e comportamenti e a cambiamenti di strutture sociali (in primis quella familiare) talmente rapidi e profondi che l'uomo, cittadino del villaggio globale, si sente estraneo ad una società di cui non riesce a sentirsi artefice. La nostra società se per certi versi si configura come carica di aspetti negativi, reca però in sé conquiste importanti: è certamente meno ingiusta poiché afferma a di tutti i cittadini, più tollerante in quanto aperta alle diversità, più libera anche se più vecchia, tanto che i giovani sono "merce" molto rara e preziosa.

Per tutti questi motivi è via via divenuta più forte l'esigenza di una particolare attenzione alla scuola, dove i giovani si formano per divenire artefici della società, perché se la società è madre della scuola, ne è anche figlia.

Ecco quindi delinearsi con i nuovo Orientamenti una scuola che sin dall'infanzia è attenta alle esigenze di ciascuno, tesa a valorizzare e potenziare le doti personali, a promuovere l'integrazione e a sostenere l'interculturalità: insomma una scuola attenta alle diversità, intendendo con questo termine lo svantaggio socio-culturale, l'handicap, i bambini extracomunitari così come i superdotati, i creativi e i divergenti, che proprio perché diversi vivono in una situazione di difficoltà.

Compito di una scuola democratica, che sia di tutti e per ciascuno, è quello di integrare le diversità facendo leva sul concetto dell'uguaglianza nella diversità. La scuola dei nuovi Orientamenti ha recepito come ricchezza la diversità e si impegna a non rimuoverla o a giudicarla per non incrementare l'insuccesso scolastico culminante nell'abbandono; si adopera invece per considerarla in vista del diritto allo studio e delle pari opportunità che si realizzano non trattando tutti allo stesso modo, ma offrendo a ciascuno un aiuto proporzionato alle proprie reali necessità, garantendo l'uguaglianza non delle opportunità di accesso, ma di riuscita. Alla base di questa apertura c'è un concetto di sviluppo che non può più tenere fede alle concezioni rigide e stadiali: l'insegnante, professionista, deve saper progettare e osservare; deve essere aperto ai cambiamenti di itinerario, deve essere in grado di considerare l'imprevisto e l'errore. L'apprendimento non è semplice elaborazione di informazioni date, ma è "imparare ad imparare", così come la società richiede.

All'interno di una visione sistemica, i nuovi Orientamenti non tralasciano di partire da una concezione dell'intelligenza anch'essa sistemica, caratterizzata cioè dalla interazione di elementi genetici, ambientale e socio-culturali e dalla presenza di stili diversificati, cioè di strategie e modalità di funzionamento molteplici e diversi. Oggi la scuola, sin da quella dell'infanzia, non può prescindere dal considerare l'esistenza di stili cognitivi diversi, di differenti modalità di apprendere, di "intelligenze multiple", anzi da qui deve partire per cogliere e valorizzare le differenze senza giudizi morali, dando di più a chi ha di meno, evitando di proporre percorsi che richiedano l'intervento di strategie mentali tipiche di un solo stile di e che penalizzerebbero chi non ne è dotato. Innegabilmente alla base dei presenti testi programmatici per la scuola dell'infanzia sono presenti Bruner e Gardner che incidono un profondo segno in quel grado di scuola, che, pur non essendo obbligatorio, è oggi fortemente intenzionale e finalizzato.

L'insegnante regista e organizzatore di opportunità educative e di apprendimento, ha come mezzo la programmazione educativa e didattica, con cui realizza una scuola che deve tenere conto delle diversità  e perciò anche delle difficoltà di certi soggetti, sicuro del fatto che l'alunno medio non esiste. Con la programmazione è possibile sia fare una scuola su misura, come anticipava Claparède, tenendo presenti non solo i prerequisiti di ciascuno, gli eventi effettivi che arricchiscono e connotano le esperienze, anche di apprendimento, di ogni bambino, potendo così intervenire in modo mirato e con percorsi individualizzati e finalizzati a rendere la scuola di tutti e per ciascuno, sia, nella fase intermedia, valutare se i percorsi messi in atto siano quelli giusti o se sia necessario modificare quanto si è progettato, visto che la flessibilità è una irrinunciabile caratteristica dell'insegnante e della sua attività programmatoria. L'osservazione, naturalistica e sistematica è un altro degli strumenti dell'insegnante, che deve tenere conto delle cause, tanto diverse, alla radice delle difficoltà dei bambini di una sezione: non soltanto quelle legate al deficit e che comportano l'handicap, ma anche cause legate a svantaggi culturali o talvolta affettivi, a problemi di comportamento, a diversità legate a patrimoni culturali extraeuropei o legati a intelligenze divergenti. Per ognuna di esse l'approccio non è identico, come si è detto, ma mirato, personalizzato. Ad esempio, nel caso di bambini con problemi di linguaggio poco sviluppato o meglio con un codice linguistico ristretto, è indispensabile intervenire in modo tempestivo, puntando su un'intensa attività linguistica (parlare, raccontare…) anche con l'ausilio di attività grafico – pittoriche o drammatico – teatrali. Il bambino che deve imparare a raccontare e a comunicare in modo corretto e comprensibile, pian piano utilizzerà termini a lui nuovi, ma più precisi e adatti, ottenendo di volta in volta piccoli, ma gratificanti successi, fondamentali per rafforzare l'autostima e per far sì che la motivazione ad imparare non diminuisca, allontanando così lo "spauracchio" di un probabile futuro abbandono. Nel caso del bambino portatore di handicap, l'intervento individualizzato, da non confondere con situazioni di isolamento in sezione, è elaborato attraverso una procedura ribadita dalla L. 104/92 che prevede non solo una fase diagnostica elaborata da un'équipe medica, ma anche la collaborazione di assistenti sociali, insegnanti di sostegno, famiglie ed enti locali, affinchè non si attui un inserimento selvaggio, ma si realizzi un'effettiva compenetrazione tra la programmazione di sezione e quella individualizzata, come ribadiscono i nuovi Orientamenti. Pensiamo pio alla condizione di difficoltà di inserimento e di integrazione di coloro che, pur essendo bambini, vivono situazioni di emarginazione sociale a causa del colore della pelle, della lingua o della religione. Anche in questo caso è importante modellare interventi "ad hoc", che non creino degli sradicati, dei senza cultura, ma che nel pieno rispetto dell'identità culturale, mirino a creare un clima sociale positivo, di reciprocità, in vista della realizzazione di quell'interculturalità fatta di scambio osmotico tra culture da cui deriva un arricchimento biunivoco.

L'unico mezzo per far sì che nessuno degli adulti di domani si perda nella società della complessità, ma si senta parte e artefice consapevole di essa è dargli oggi la possibilità di valorizzare le proprie potenzialità, realizzando il diritto allo studio e la vera democraticità della scuola.

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